Allegoria del margine - appunti di un progetto di ricerca in divenire

Allegoria del margine.

Il processo di inurbamento dello scorso secolo ha determinato un tessuto eterogeneo intorno alla città storica ed ha formato un margine edilizio molto esteso oggetto ancora oggi di studi e dibatti interdisciplinari. Il margine  è in questo senso un luogo strategico e la riforma del pensiero derivante da avvenimenti ed azioni: come un sentimento ecologista emergente risalente agli anni 70’ (Viganò, 2012)  e l’attenzione ai luoghi del “terzo paesaggio” come risorsa della città  (Clement, 2016) , pone, oggi ancor di più, riflessioni e spunti sul margine urbano e periurbano come “riconciliazione” tra due elementi che in una lettura novecentesca del territorio venivano visti in contrasto ed in opposizione, ovvero la città e la campagna.  Un ritorno avvenuto negli ultimi vent’anni attraverso l’esplorazione della relazione tra disegno urbano e razionalità ecologica (Viganò, 2012) sancita da alcune tappe progettuali che hanno orientato l’attenzione ai margini territoriali: il piano del Salento del 2001 e il progetto per la Grand Paris del 2008, alla scala territoriale, mentre alla scala urbana il lavoro di Michel Desvigne per Paris Saclay, cominciano a riconsiderare la città come parte di un ecosistema naturale e rivedere i bordi come il luogo di riconciliazione (Piccarolo, 2023), un “terzo paesaggio”, appunto, dove mondo urbano e agricolo si ibridano. Si potrebbe parlare di una città inversa (Viganò, 2012) o di una contro-colonizzazione dove le strutture ecologiche della campagna strutturano lo spazio aperto della città, che diviene un sistema poroso ed aperto dove intessere relazioni, generando biodiversità ed inclusività sociale. Un’integrazione complessa tra sistemi sociali e ambientali, come Felix Guattari ben racconta nel suo le tre ecologie (1991), che pone in realtà all’attenzione come alla radice di questa svolta ecologista sia necessario un intervento sui processi subconsci, che egli chiama “ecologia mentale”.

Si è assistito dunque ad un cambiamento di prospettiva, le aree periurbane viste con uno sguardo fortemente monocentrico rappresentavano aree di confine, finendo in molti casi per divenire luoghi anonimi o non luoghi (Augè, 2005), spazi, cioè, denotati dalla loro scarsa capacità di attivare relazioni; territori lacerati dalle forti diseguaglianze sociali (Secchi, 2013). Tuttavia, la dispersione della città moderna (Viganò, 2012) e il cambiamento culturale sancito dalle tappe sopracitate stanno portando oggi a vedere il margine come uno spazio di mezzo, un intervallo che separa o unisce la città e la campagna; una soglia più che un confine.

Questa concezione dello spazio di mezzo o in-between, che dir si voglia, è una corrente di pensiero che corre parallelamente alle riflessioni ecologiste ed a partire dagli anni 70’ del novecento ha impegnato l’attività di molti teorici ed architetti.  Larga parte di questi studi in campo architettonico li dobbiamo ad Aldo Van Eyck ed ai membri del Team X, che nella rivista Forum cominciano a pubblicare numerosi articoli sul tema dello spazio-tra. In particolare il numero 8 della rivista, diretto da Van Eyck, venne intitolato Soglia ed incontro: forma e contenuto di ciò che è fra (Spirito, 2015). La soglia non deve diventare una barriera-impedimento-partizione, ma è un luogo dove due regni che conservano la loro identità individuale si sovrappongono, sono simultaneamente presenti. La soglia è il luogo dove si attivano tutte le relazioni, tra pubblico e privato, tra collettivo e individuale, tra antropico e naturale, essa costituisce la chiave della connessione fra differenti vocazioni.  Questi studi portano ad una nuova attenzione, che in Italia viene fatta propria da Giancarlo De Carlo. Si inizia a riflettere sul significato del luogo come spazio abitato ed esperito (De Carlo, 2004) ed a considerare i contesti e le relazioni con l’intorno come parte integrante della progettazione. Un cambiamento radicale che porta alcuni architetti a rivedere il rapporto tra progetto luogo e storia, abbandonando la tendenza modernista di fare tabula rasa.

Questo rapporto del progetto con la storia si consolida poi durante gli anni e la nozione stessa di contesto e di patrimonio si allarga via via, ed in maniera sempre più forte a partire dagli anni 60’ acquisisce nuovi e più estesi significati (Choay, 1995). Nel 2000 la convenzione europea del paesaggio allarga definitivamente la nozione di paesaggio e di patrimonio e la estende non più solo ai beni di elevato pregio culturale ed ambientale, ma anche a quelle porzioni di territorio degradate o in disuso. Le aree di margine, le periferie ed i centri rurali abbandonati divengono a tutti gli effetti parte del patrimonio territoriale; il loro valore patrimoniale è tale infatti in quanto istanze esistenti e non solo in quanto risorse utilizzate attivamente dalla popolazione locale (Magnaghi, 2010). Il luogo, però, diviene patrimonio se le dinamiche sociali ed economiche che si sviluppano in esso nascono da una coscienza delle comunità locali, che dirige lo sviluppo verso forme di autoproduzione del paesaggio (Magnaghi, 2010). 

La vicenda dei Sassi di Matera è emblematica di questa narrativa che intreccia i temi dell’antropologia e delle scienze sociali, con quelli dell’ecologia urbana ed infine con la recente patrimonializzazione del territorio, ed anche temporalmente accompagna questo processo teorico che a partire dal secondo dopoguerra fino ai nostri giorni si è consolidato in delle pratiche disciplinari ricorrenti.  Il processo di valorizzazione dei Sassi materani che, anche attraverso tappe dolorose come lo spostamento forzato degli abitanti durante gli anni 50’, ha portato questa porzione di territorio ad essere iscritta nella lista dei Patrimoni UNESCO, è stato innescato proprio dalla creazione di un nuovo paradigma: interpretare luoghi considerati simbolo di povertà e di miseria come spazi geniali e modelli per il futuro (Rami Ceci, 2003).

Diventa evidente allora che l’attenzione per le aree di margine, per i borghi e le aree interne come luoghi di opportunità provenga da lontano, un percorso che a partire dagli anni settanta ibrida studi e dinamiche di pensiero differenti (De Rossi, 2019). 


Modernità o post-modernità? la aree interne ed i borghi come risposta sociale.

Individualizzazione, competizione eccessiva e sleale, esclusione sociale, ansia, paura dello straniero, tutti processi di distorsione delle coscienze che stanno restituendo il degrado di una società allo stato liquido ( Bauman, 2011) dove la Voglia di comunità (Bauman, 2012) derivante dal senso di solitudine ed estraneazione del cittadino contemporaneo sfocia in comunità dell'odio e del rancore chiuse ed esclusive, siano esse comunità di ricchi o poveri (Secchi, 2013) istituzioni o società civile . La politica è liquida, lo sono i partiti, ormai difficilmente definibili con le categorie di sinistra e destra, ormai lontani dai territori e dai bisogni delle popolazioni, lo sono le università, anche loro permeabili ai flussi della sfera pubblica liberale e non in grado di rispettare principi meritocratici, lo sono le istituzioni statali locali e non , oggi solo in grado di rappresentare i potenti ed i loro interessi e non in grado di tutelare la dignità di individui e minoranze. La fine del diritto come mediazione collettiva e patto comunitario democratico. In una topografia sociale sempre più bipolare dove ricchi e poveri si allontanano ed i ceti medi si disgregano, dove i flussi (Bonomi, 2016) impattano sui territori e le crisi geopolitiche producono disoccupazione, dove la società sembra talvolta avviata verso una decrescita più o meno felice; quali sono le prospettive per il futuro? Siamo dunque alla fine della modernità?

La nostra epoca è stata definita in maniera molteplice, in particolare si contende tra chi ritiene che siamo alla fine della storia moderna e della modernità (Kumar, 2000) e chi invece ritiene che ci troviamo semplicemente in uno stato di transizione, incerto e liquido (Bauman, 2010) verso un' altra fase ancora a venire di cui allo stato attuale non si conoscono i connotati. 
La modernità secondo Kumar trova le proprie radici nel medioevo, quando nasce la parola modernitas in contrapposizione ad antiquitas, la modernità nasce dunque con l'avvento del cristianesimo come presa di distanza dal passato. Tuttavia Kumar identifica la nascità della modernità in senso contemporaneo con la rivoluzione industriale e la rivoluzione francese, con la fine dunque di un processo, che partendo dal medioevo attraverso il rinascimento vede l'individuo emanciparsi dal potere e costituirsi in uno stato repubblicano ed in un ceto sociale ben definito, la borghesia. In questo senso la fine del fordismo, la decadenza delle professioni liberali e delle borghesie urbane, la crisi del ceto medio e la crescita delle disuguaglianze sociali, la fine della democrazia diretta e la crisi di rappresentanza, la crisi economica e le decrescita globale, la frammentazione sociale, portano alcuni a decretare la fine del moderno e l'avvento della post-modernità.
Bauman è di diverso avviso. Se anch' egli identifica le origini della modernità tra medioevo e rinascimento, nel processo di individualizzazione che nasce nel cristianesimo attraverso la consapevolezza del proprio destino, il libero arbitrio, ritiene che la modernità e la globalizzazione comincino nel rinascimento con la scoperta dell'america e con la nascita dell'idea di progresso come di un distacco dal passato in senso evolutivo. Per Bauman modernità significa un continuo processo di sviluppo e di presa di distanza dal passato recente, un ripetersi di fasi solide, in cui le innovazioni tecniche e politiche si consolidano in nuove forme sociali, e liquide, in cui quelle forme si disciolgono per poterne in seguito definirne altre. In Questo senso Bauman non ritiene la modernità finita, egli infatti preferisce darne una definizione materiale, identificandola con la nozione di liquido. In effetti, se si osserva la scala globale, si nota come la modernità si sia ricollocata nello spazio in altre nazioni o aree geografiche, lasciandone altre, invece, in uno stato di post-modernità.
 
Che ci si trovi dunque in un momento di transizione è ormai chiaro, ma la transizione, e Guattari torna utile in questo, non può che avvenire sotto molteplici aspetti che abbracciano in maniera estesa società, istituzioni, politica, ambiente e individui nelle loro esperienze cognitive.
E allora che fare? Occorre ripartire dalle aree della post-modernità, dal basso, dal ricostituire le comunità ed aggregarle nello spazio con la speranza di ricostruire una forma discorsiva della sfera pubblica (Habermars, 2022 ) definendo una nuova topografia sociale che, dal basso, dalla periferia, si muove verso i centri del potere, anche essi probabilmente nella fase di una nuova definizione verso un' Europa più solidale ed unita.

Diventa centrale dunque ripensare le aree interne, i borghi ed i piccoli centri come il motore di un possibile sviluppo economico e sociale, come lo spazio di un laboratorio dove sperimentare nuove dinamiche di partecipazione attiva e di interazione sociale nello spazio pubblico, con il fine di invertire il flusso di soggettivazione dell'opinione pubblica, ormai totalmente calato dall'alto, in un declino totale della democrazia di rappresentanza e della società.
Questo ci da inoltre la possibilità di sperimentare principi eco-sofici nello spazio, di creare comunità aperte e permeabili, basate sull' emergente circolarità dell'economia e della società (Bonomi, 2016). Un nuovo rapporto tra città e compagnia, basato sul digitale, sull'economia green, sulla partecipazione attiva ( Arendt, 2017 ) nella produzione di comunità e di cultura locale basate sulla coscienza di luogo ( Magnaghi, 2010). 



Le aree interne come motore di un nuovo sviluppo locale nell'economia circolare -
il caso di Matera e della sua provincia.

La candidatura prima e la designazione poi di Matera a capitale della Cultura Europea nel 2019 ha avuto un riverbero territoriale da non trascurare, che potrebbe attivare strategie di area vasta anche con il fine di controllare un processo di esaurimento della risorsa territoriale materana. Allentare la pressione turistica e ridistribuire il turismo su un più ampio territorio e definire un orizzonte esteso, sia in termini di spazialità sia di temporalità, non solo per garantire un coinvolgimento delle popolazioni locali, ma anche per attrarre i «cittadini temporanei», che vengono esplicitamente distinti dai turisti (D’Alessandro, 2018).

La provincia di Matera dispone di diversi piccoli centri e di borghi,  alcuni abbandonati ed oggi in uno stato di progressivo degrado, di cui Craco ed Alianello sono solo due casi emblematici e rappresentano un patrimonio ancora inesplorato dove praticare esperienze di progettazione partecipata e di rigenerazione urbana basate sulla nuova economia digitale e sulla green economy. 
 
 Craco, esemplare per analogia con altri sul territorio nazionale, abbandonato dai suoi abitanti a causa di una catastrofe naturale, racconta di una rottura della linearità del rapporto uomo-natura, di una riconciliazione con la natura non riuscita o dell’indifferenza dalla natura all’uomo. Racconta oggi della rinascita di un’attenzione al patrimonio territoriale, soprattutto da un punto di vista storico culturale, nel suo caso legata all’industria cinematografica e turistica, ma che non restituisce ad oggi processi e politiche territoriali per una fattiva realizzazione della comunità locale. La rinnovata attenzione culturale – politica ed economica per il recupero del patrimonio delle aree di margine, delle periferie provinciali e nazionali, ha avviando delle dinamiche di sviluppo locale che destano interesse; ma per avere successo non deve risolversi in una mera museificazione del patrimonio, ma deve attivare meccanismi sociali ed economie locali durature e diversificate.  

Pratiche progettuali di questo tipo sono già state avanzate su tutto il territorio nazionale e possono essere utilizzate per analogia. Un caso esemplare è quello del borgo di Coletta di Castelbianco in provincia di Savona, progettato da Giancarlo De Carlo. De Carlo vede Coletta come un network di edifici inter-connessi e raggruppati in clusters e riallaccia questa articolazione al sistema di inter-connessione informatica (Nicolin, 2019). Un progetto utopico, nel senso positivo di tale termine che ne da Moro, però forse prematuro, ma che oggi, passata la fase acuta di crisi del distretto e delle aree interne ed in seguito all’avvento di politiche  di iniziativa europea per il recupero dei borghi e dei margini territoriali , potrebbe acquisire dei risvolti sociali differenti.  

La società dell'informazione e della conoscenza nel capitalismo delle reti (Kumar 2000, Rullani 2004), a seguito della dispersione territoriale e dell'estrema individualizzazione del lavoro, ripropone la casa come spazio da abitare e di lavoro allo stesso tempo (Kumar, 2000), richiamando modelli societari tipici del medio-evo e del rinascimento che avevano portato al nascere della casa bottega. Il nuovo artigianato digitale dovrà però essere accompagnato da sistemi di partecipazione alla costruzione e progettazione del borgo, sia con il fine di riscoprirne il valore patrimoniale, sia di ricercare la gratificazione nel lavoro fisico e artigianale ormai perduta (Sennet, 2012). Infine, l'intervento sui borghi va visto considerando il principio di centralità del margine e dello spazio di aggregazione della comunità, oltre che di una circolarità intesa come un processo sistemico ed integrato in una rete territoriale tra città, aree interne e campagna. 

Quali sono gli attori locali o sovra-locali che possono rendersi protagonisti di questa rigenerazione? Quali le strategie d’intervento a livello fisico e non? Quali le possibilità di radicare comunità permanenti e piccoli tessuti sociali vitali esistenti nello spazio relazionale? Quali le economie ed i saperi locali per la creazione di una nuova micro-economia distrettuale basata sul digitale e sulla rete? 

 Sono solo alcune delle questioni a cui si tenterà di rispondere attraverso lo studio delle aree interne e dei borghi, con l’intento di avviare dei processi, stimolare la creazione di start-up e di convogliare idee e nuove iniziative in queste porzioni di territorio marginale.

 Una narrazione, dunque, che dovrà toccare diversi aspetti:  dagli aspetti patrimoniali e territoriali relativi alla “globalizzazione dei luoghi”, alle questioni antropologiche e sociali delle comunità locali, alle questioni micro e macro-economiche relative all’economia della conoscenza e delle reti, nonché ad aspetti estetico-artistici, non ad ultimo, alle politiche del welfare. Uno studio che dovrà intrecciare diversi saperi disciplinari con uno sguardo dal territorio alla città ed ai borghi, una modalità opposta a quella che comunemente è stata adottata nella storia della disciplina urbanistica e che solo recentemente ha riorientato pratiche ed approcci progettuali verso una lettura orizzontale del territorio. 

Il fine ultimo di questa proposta è la realizzazione di laboratori per l’innovazione sociale locale (Carta, 2017), dove sperimentare dinamiche sociali con fine educativo, generando quei processi mentali che sono alla base delle tre ecologie di Guattari nella realizzazione di una società realmente ecologica, sperimentando, inoltre, meccanismi sociali di generazione di piccole comunità intelligenti per lo sviluppo locale che possano, altresì, avviare  processi di “de-individualizzazione e solidificazione” sociale, infine generare un riverbero territoriale da cui possano scaturire territori circolari in una nuova interazione fluida e produttiva tra città e campagna.


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